Catamito

Ganimede nella sua versione romana di puer delicatus.

Nel mondo antico, un catamito[1] (in latino catamītus) era un ragazzo che, raggiunta l'età della pubertà, diventava compagno intimo di un giovane uomo nell'antica Grecia e nell'antica Roma, solitamente all'interno di un rapporto implicante anche la pederastia[2]. Il termine catamito era usato anche come insulto quando veniva diretto contro un adulto, col significato di «omosessuale passivo»[3].

In inglese, il termine catamite modernamente si riferisce a un ragazzo o un giovane che assume il ruolo di partner sessuale passivo-ricettivo in un rapporto di sesso anale con un uomo[4].

In genere era però un termine d'affetto e indicava letteralmente il nome di Ganimede. La parola deriva difatti dal nome proprio Catamitus, la forma latinizzata di Ganimede, il bellissimo adolescente principe dei troiani rapito da Zeus per farne il proprio compagno, oltre che coppiere degli dèi olimpi[5]. La forma Catmite della lingua etrusca derivava da una forma alternativa greca del nome Ganymedes[6].

  1. ^ S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, vol. II, p. 869, UTET.
  2. ^ Craig Williams, Roman Homosexuality (Oxford University Press, 1999, 2010), pp. 52–55, 75.
  3. ^ Cicerone, frg. B29 in una delle sue orazioni e nelle Filippiche 2.77; Bertocchi e Maraldi, "Menaechmus quidam," p. 95.
  4. ^ Oxford English Dictionary 3ª ed. (2003).
  5. ^ Alastair J.L. Blanshard, "Greek Love," in Sex: Vice and Love from Antiquity to Modernity (Wiley-Blackwell, 2010), p. 131. In Servio, nel suo Commentario all'Eneide 1.128, e Sesto Pompeo Festo indicano chiaramente che Catamitus era l'equivalente latino per Ganymedes; Festo lo indica come esser stato il concubinus di Giove (divinità). Alessandra Bertocchi e Mirka Maraldi, "Menaechmus quidam: Indefinites and Proper Nouns in Classical and Late Latin," in Latin vulgaire–Latin tardif. Actes du VIIème Colloque international sur le latin vulgaire et tardif. Séville, 2–6 septembre 2003 (University of Seville, 2006), pag. 95, nota 16.
  6. ^ Larissa Bonfante and Judith Swaddling, Etruscan Myths (University of Texas Press, 2006), p. 73.

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